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Buon vino fa buon sangue: il vino buono fa buon sangue

“Il buon vino fa buon sangue”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Crescendo, ero uno dei fortunati la cui madre, alcuni giorni contro ogni previsione, preparava sempre una cena fatta in casa per me e mio padre. Ero altrettanto fortunato perché non c’erano molte regole a casa mia, forse per il fatto che ero figlio unico o forse perché i miei genitori erano alla fin fine tranquilli, tranne alcune semplici regole, tutte incentrate sulla cucina, il nostro luogo sacro:

 

  1. Mastica a bocca chiusa
  2. La pasta si fa la domenica
  3. La cena si mangia sempre insieme come famiglia, assolutamente non negoziabile.

 

A volte, piuttosto infastidito da queste poche e rare “regole”, chiedevo “ma perchééé” e senza esitazione, mia mamma e mio papà rispondevano: “Perché l’abbiamo detto noi, ecco perché” all’unisono, quasi come una canzone che avevano provato un milione di volte… forse l’avevano fatto, perché potrei aver fatto questa domanda troppe volte.

A cena, mia mamma era sempre l’ultima a sedersi, assicurandosi che tutti avessero ciò di cui avevano bisogno, inclusa lei stessa. Una volta che io e mio padre eravamo sistemati, con la coda dell’occhio la vedevo allungarsi verso l’alto in un armadio, tirando fuori un bicchiere di vino vintage con lo stelo di cristallo, forse ancora più vecchio di lei, e poi in basso, prendendo quello che diceva “sapeva d’oro”: vino rosso. A volte era una bottiglia del negozio o più spesso, un grande barattolo di vetro, senza etichetta o nome, solo una data scritta con un pennarello Sharpie spesso per indicare quando il barattolo era stato sigillato per la prima volta. Se non era in questo specifico bicchiere, che brillava quando la luce lo colpiva, non valeva la pena berlo.

Questa era un’abitudine per mia mamma, o meglio un rituale, dato che non c’era una grande dipendenza. Quando le chiedevo perché sceglieva di accompagnare il suo pasto con questo liquido di colore rosso scuro, quasi mai riempito fino a metà, mi rispondeva “perché fa bene alla salute e all’anima” prendendo un altro sorso, molto lentamente.

Vivendo in Italia, ho avuto molti momenti di déjà vu rispetto al mio periodo di crescita in America in una famiglia italiana. Nonostante la mia ingenua gioventù, tutte quelle cose strane che la comunità italiana intorno a me faceva, ora vedo che sono perfettamente collegate da lì a qui nella madrepatria. Ci sono molti proverbi nella lingua italiana, ma uno che amo, pieno di nostalgia, rilevanza e forse anche un po’ di mistero è “Buon vino fa buon sangue” o “il vino buono fa buon sangue”. Questo proverbio vecchia scuola, originario dal latino, esiste da centinaia di anni, ancora non così antico come il vino e l’artigianato della vinificazione italiana che risale a 4.000 anni fa. Come la maggior parte, la mia famiglia credeva in questo proverbio con tutto il cuore. Una convinzione radicata nel fatto che gli antiossidanti naturali nel vino, quei polifenoli ampiamente celebrati chiamati resveratrolo, possano effettivamente aiutare a proteggere il cuore. Qualcosa che mio nonno e i membri della famiglia sostenevano da quanto posso ricordare, e so per certo che non erano gli unici, visto che ho incontrato molti altri nonni che credono in questa verità come se fosse la loro religione. Ma bere vino rende davvero il nostro sangue più puro, il cuore più forte, i pensieri più acuti, le parole più dolci? O è la storia, la narrazione, la produzione dietro ogni bicchiere di vino, ogni sorso che fa sperimentare migliaia di anni di cultura italiana? O sono le persone con cui lo bevi o l’ambiente che rende il nostro sangue così buono? In qualche modo, ho scoperto che si torna sempre a quel bellissimo stile di vita che gli italiani hanno in qualche modo padroneggiato senza sforzo, non c’è da meravigliarsi che rimanga una delle culture più amate al mondo. Per gli italiani, il vino non è solo parte della cultura ma parte della loro identità, una parte della vita di ogni giorno, dal modo in cui vedono il vino, al modo in cui lo bevono, o il mio preferito, imparano ad apprezzare un vino nella sua interezza.

Prima di tutto, c’è l’arte di fare il vino, senza dubbio l’arte e la storia di questo paese, perché in fin dei conti, il vino in Italia è antico quanto la società stessa, persino i Greci chiamavano il paese Enotria, o “la terra del vino” in tempi preistorici. Regione dopo regione, dal vigneto alla cantina, la maestria del vino artigianale ha resistito al tempo. Gli italiani creano il vino tenendo a mente molte cose, ma la più importante è rimasta al centro di tutto: passione, qualità, apprezzamento e tradizione. Con la vendemmia, c’è un’infinita opportunità di preservare la cultura italiana, è importante non dimenticare mai le nostre radici, la terra del popolo italiano. C’è la ricchezza del suolo, l’abbondanza e la varietà di uve, le più varie e uniche in tutto il mondo, combinate con vigneti e tecniche familiari tramandate di generazione in generazione, in alcuni casi anche per 9 generazioni. È un dono che aspetta di essere ricevuto, o in questo caso, bevuto, e ci sono storie che aspettano di essere raccontate con ogni bicchiere. Ricordo una delle mie prime esperienze con il vino, non era in un vigneto o in un’enoteca nel mezzo del Veneto, ma in una trattoria romana senza fronzoli per un aperitivo. Ero con un amico e il cameriere ci chiese, ” un bicchiere, un quartino, un mezzo litro?” e poi arrivò la domanda da un milione di dollari, “vino rosso o vino bianco?” Ci portò un bicchiere di bianco ciascuno, mentre iniziava a far roteare e agitare un bicchiere extra in mano, io che guardavo il vino girare e girare e girare. C’era passione e dignità nella sua voce mentre ci raccontava del vigneto locale da cui proveniva il vino, appena fuori Roma, gli aromi che si potevano assaporare e il miglior piatto con cui abbinarlo. In quel momento, diventò più che la semplice idea di bere vino per il gusto di berlo. Diventò una questione di gusto, di profumo, di storia, di esperienza di condivisione e connessione con gli altri.

Bere vino è più del vino stesso, riguarda l’esperienza che viviamo con esso. È la stessa sensazione che mia madre aveva condiviso con me anni fa, fa bene all’anima, è la connessione con le persone. Evidentemente, il vino è ovunque, dal pranzo all’aperitivo alla cena al dessert, è una parte della la dolce vita italiana che la rende ancora più dolce. Ma questo non è un invito all’eccesso, ma piuttosto un invito a godersi la vita. Una delle tante stranezze che amo del popolo italiano è come sembrano aver reso semplici i più grandi piaceri della vita. Il vino non deve essere associato all’ubriachezza, anche se a volte quando il vino è così buono, succede! C’è l’abbinamento tra vino e cibo, una storia d’amore senza fine, l’accoppiata perfetta fatta in paradiso. C’è il piacere del gusto, dell’olfatto, dell’educazione, della scoperta. E poi c’è il piacere delle persone con cui beviamo, forse la qualità più importante di tutte. C’è risata, tempo, amore, divertimento, celebrazione, relax. Non c’è da meravigliarsi se il nostro sangue sta così bene dopo un bicchiere. E ultimo ma non meno importante, ovunque si passi il tempo con un bicchiere di vino in mano, c’è il cin cin, un brindisi italiano alla “la salute” Ironico? Non credo proprio.