Carlo Levi diceva: “Non si può entrare nel mondo contadino senza una chiave magica.” Ecco perché devi armarti di energia e magia! Perché… per ogni regione che visiti troverai una tradizione contadina diversa: raccogliere le patate il terzo giorno di luna piena, iniziare la raccolta delle noci la notte del solstizio d’estate per produrre nocino nella zona di Modena, festeggiare San Martino l’11 novembre (noi italiani troviamo sempre una buona scusa per far festa, soprattutto quando c’è di mezzo cibo e vino).
Una di queste tradizioni festose avviene alla fine della vendemmia: BENFINITA, conosciuta anche come “Galzèga” in Veneto o “Bandiga” in Emilia Romagna. In poche parole, la Benfinita è la celebrazione tradizionale della fine della vendemmia. Può essere usata anche per segnare la fine della raccolta delle olive, delle noci, delle ciliegie o del grano.
Che bella parola, BENFINITA, vero? Tradotta letteralmente: “BEN FINITA”.
Una bellissima combinazione tra gioia e malinconia, un evento che condivide e sigilla il momento conclusivo dell’attività agricola più emozionante dell’anno, la vendemmia.
Comunque vada il raccolto, che sia migliore o peggiore dell’anno precedente, la fine di questa attività faticosa per un contadino deve e merita di essere onorata.
È un inno alla vita. È il risultato di duro lavoro, braccia stanche e pelle tesa.
Benfinita… comunque sia andata, è andata bene! Il successo sta nel suo completamento e non solo nei risultati del raccolto di quest’anno.
Ma in cosa consiste questa celebrazione?
Storicamente, la Benfinita era un pranzo alla fine della vendemmia. Quando questa finiva, le famiglie si riunivano intorno a un tavolo, con lavoratori, dipendenti, amici, adulti, bambini, parenti e simili per brindare al lavoro svolto e il banchetto si concludeva scattando l’immancabile foto di gruppo affinché la giornata importante potesse essere tramandata ai posteri.

Non è cambiato molto. Oggi la Benfinita è un momento di condivisione, circondati da piatti e vini tipici regionali, musica e danze folkloristiche. Chi ha fisicamente contribuito alla vendemmia insieme agli amici e alla famiglia proprietaria dei vigneti si riunisce per mangiare, bere, cantare e ballare liberi da ogni altro pensiero.
Noi italiani troviamo sempre una buona scusa per sederci intorno a un tavolo, è nel nostro DNA. Questo va detto. Intorno alla tavola consolidiamo vecchie intese e ne creiamo di nuove, produciamo gustose intimità e spesso riusciamo a smussare tensioni o emozioni crude e indicibili.
Nei paesi e nei villaggi di tradizione contadina, la condivisione è soprattutto ciò che più caratterizza e unisce le comunità piccole e grandi; condivisione di intenti e sentimenti.
Le grandi città sembrano prendere spunto da questa visione di “economia contadina collettiva” con il car sharing, lo house sharing, il co-working, le social table e simili. Il valore della condivisione sembra voler sempre più spazio. In campagna, tra i contadini, tradizioni come la benfinita devono essere preservate e tramandate, mentre per chi vive in città richiama valori da riscoprire.
Un invito a una celebrazione di questo tipo, per chi come me vive in una grande città, non capita spesso, e quando capita è un’opportunità da non perdere…
Il mio invito è arrivato da Sara Gallina di Monteconero 570 ed è stato senza dubbio uno degli eventi più gloriosi a cui abbia mai partecipato.
Sono partita con Silvia, una cara amica di Foligno, che dopo più di vent’anni vissuti tra Roma e Milano, è tornata in Umbria e ha aperto una cantina raffinata come lei: Viniamo Enolab. Sara, invece, è una viticoltrice di ventinove anni di Sant’Andrea d’Agliano, vicino a Perugia. Ho conosciuto Sara nel 2015, l’anno dell’Expo a Milano, proprio nell’enoteca che Silvia aveva aperto nel quartiere di Porta Venezia a Milano.
Oggi, dopo una laurea in enologia e tonnellate di esperienze lavorative in Francia e Danimarca, Sara, insieme a suo fratello, guida l’azienda di famiglia che produce vino, olio e salumi. Questo non senza l’attenta e vigile supervisione dei suoi genitori e soprattutto di suo nonno.
“Oggi come ieri, domani come oggi” è lo slogan che le appartiene.
Le tradizioni contano. E non dovrebbero essere dimenticate. Così come i vecchi sapori o quei ritmi più lenti legati al loro passato e territorio.
La Benfinita del 2019, l’anno pre-Covid, quello a cui ho partecipato, aveva tanti partecipanti. Una su tutti: IRMA, una signora over 80, amica di famiglia, la donna che ha avuto l’onere e l’onore di impastare con le sue dita nodose “dalle 2 di notte alle 8 di sera ben 50 uova”! per un totale di non-so-quanti-chili di tagliatelle fresche, rigorosamente tirate col mattarello, per aiutare a sfamare la cinquantina di ospiti.
E poi c’era sua Maestà, l’arrosto di maiale, un piatto locale immancabile, succulento e grasso. E anche così, la tavola era piena pure di salumi di ogni tipo, e olio a volontà. Il vino scorreva in abbondanza e il gruppo di musicanti era sempre pronto a suonare, cantare e farci ballare.
È stata una vera festa, l’ultima bella festa a cui ho partecipato prima che il mondo si fermasse.
È iniziata con il suono dei tasti di una vecchia macchina da scrivere Olivetti Studio 44 usata per creare il menù ed è finita con musica folk e risate, il tutto accompagnato dal profumo e dal sapore di una infinita di ben di dio! (un’infinità di cose buone!) Sazi e felicissimi. Senza fronzoli o pretese.
Ed ecco che la BENFINITA, anche a una cittadina come me, è stata servita. Un gran bel promemoria di come appare la vera magia! Ora tocca a te! Incrocio le dita che sarai fortunato come lo sono stata io nel ricevere quell’invito così semplice ma così speciale.