Bagnoli, il quartiere più occidentale di Napoli, si trova intrappolato tra la baia di Pozzuoli e la collina di Posillipo, una sottile striscia che abbraccia il mare con vista verso le isole di Nisida, Ischia e Procida. Sulla carta può sembrare idilliaco, ma basta una breve passeggiata lungo la costa per capire che si tratta di un luogo tormentato dal degrado delle industrie dismesse, sede di quella che era una delle più grandi acciaierie attive in Italia in tutto il mondo nel secolo scorso, un mostro di metallo più grande del quartiere stesso: l’Italsider.
Dal 1992, la fabbrica si presenta come un guscio abbandonato, gettando un’ombra di inquinamento e malessere economico sull’intero quartiere suburbano abitato da 20.000 persone. Il livello di inquinamento residuo è talmente elevato che è vietato fare il bagno in mare, anche quando l’aria è tremolante per il calore che emana dal cemento. Il fatto che la spiaggia sia accessibile è una magra consolazione: ai bagnanti non è permesso nemmeno scavare una piccola buca per erigere un ombrellone, perché anche la sabbia è tossica. “Tutti immaginiamo Napoli come la cartolina del golfo, con il Vesuvio sullo sfondo. Quando sei nel centro di Napoli, Bagnoli non esiste; si nasconde dietro la collina di Posillipo. È semplicemente un posto di cui hai sentito parlare”, afferma Raffele Vaccaro, un biologo marino che ha appena concluso la produzione di un nuovo docufilm sull’area chiamato “Flegrea – Un Futuro per Bagnoli”.
Quando è iniziato il casting, sono rimasti scioccati dalla mancanza di consapevolezza da parte dei giovani di Bagnoli sulla situazione del loro quartiere.
“Erano arrivati al punto di non fare nemmeno più domande”, dice Vaccaro, “si tratta di un meccanismo di difesa che si sviluppa in territori devastati, una normalizzazione di qualcosa di drammatico e terribile”.

Photo by Dimitri D’Ippolito
L’industria a Bagnoli decollò nel 1911 con l’apertura di un’acciaieria per l’Italsider, l’azienda siderurgica statale italiana, all’epoca una delle più grandi d’Europa. Questo vasto complesso arrivò ad occupare due chilometri quadrati di Bagnoli e, al suo apice, impiegava 8.000 lavoratori, poco più del 25% della popolazione di Bagnoli. Non sono stati solo gli abitanti di Bagnoli, ma anche quelli di Posillipo, sede di alcune delle residenze più lussuose e prestigiose di Napoli, a dover chiudere le finestre quando la nube tossica ha bussato.
“Da un lato la zona più bella della città, la splendida collina di Posillipo”, afferma Stefano Romano, bagnolese direttore della Flegrea, “poi giri un promontorio e hai una fabbrica che scarica i rifiuti industriali in mare. È stato progettato in modo sbagliato fin dall’inizio”.
Vaccaro mi dice che in Campania manca un vero e proprio registro sui tumori “ma ci sono centinaia di storie aneddotiche di ex lavoratori dell’Italsider morti per malattie causate dall’inquinamento atmosferico”. E continua: “C’è sempre questo contrasto tra lavoro e salute. Siamo pronti a sacrificare la nostra salute e quella delle nostre famiglie pur di lavorare, accettando la distruzione dell’ambiente che ci circonda”.
In effetti, l’acciaio era (ed è tuttora) la spina dorsale dell’industria moderna, ciò che ha accompagnato l’Italia attraverso guerre mondiali e miracoli economici, e così l’Italsider ha continuato a produrre materiali fino al 1992, quando la produzione è diventata insostenibile, non dal punto di vista ambientale, ma economico. La rapida globalizzazione del mercato della fine del XX secolo ha fatto sì che diventasse più economico acquistare materie prime da paesi emergenti come Cina e India, ai quali venivano vendute da gran parte dei complessi industriali smantellati.
Altre fabbriche operanti nella zona durante il XX secolo furono la Cementir, un’azienda produttrice di cemento, e l’Eternit, che produceva amianto. Proprio quest’anno, uno dei maggiori azionisti di quest’ultima, Stephan Schmidheiny, è stato condannato a dodici anni di carcere per omicidio colposo aggravato dopo essere stato riconosciuto colpevole di centinaia di morti per esposizione colposa.
Tutto questo accadeva alle porte della più grande città del sud Italia.

Bagnoli with Cementir and Italsider plants
Dalla chiusura dell’acciaieria nel 1992, i governi locali e nazionali si sono impegnati a riqualificare l’area, e i due esempi più notevoli hanno incontrato un destino drammatico. La Città della Scienza, inaugurata nel 1996, era, all’epoca, uno spazio all’avanguardia che comprendeva, tra le altre strutture, un incubatore di imprese, un giardino didattico e un museo chiamato Science Center, che divenne un campo meta di viaggio di numerose scuole del mezzogiorno italiano. Ma, nel 2013, un incendio ha devastato quattro dei sei edifici, compreso l’intero spazio museale. La causa è stata identificata come incendio doloso, anche se, al momento della stesura di questo articolo, il colpevole non è stato trovato. Nell’ultimo decennio, i piani per la ricostruzione del museo prevedono che venga spostato nell’entroterra, cosa impossibile finché il terreno fortemente inquinato non sarà ripulito.
Forse ancora più emblematico della corruzione e della sfortuna infiltrata nel risanamento di Bagnoli è il caso del Parco dello Sport, un vasto complesso sportivo realizzato su 23 ettari dell’ex sito dell’Italsider. Il progetto da 37 milioni di euro (finanziato dalla Regione Campania con il contributo dell’Ue) con campi, campetti e piste di pallavolo, basket, calcio, tennis e hockey su ghiaccio, circondati da piste ciclabili e canali per modellini di barche, doveva essere il fiore all’occhiello di una Bagnoli riabilitata, attirando atleti da tutti gli angoli di Napoli. Nel 2010 i finanziamenti furono sospesi e, nel 2013, si scoprì che la società che aveva realizzato il complesso, Bagnoli Futura, non solo non aveva bonificato il terreno sottostante dall’inquinamento, ma aveva utilizzato quello stesso terreno come discarica per un altro progetto di bonifica nelle vicinanze. Questo scandalo, solo una parte della più ampia crisi che circondava Bagnoli Futura (allora in prima linea nei progetti di bonifica regionale), divenne un fattore che contribuì al suo fallimento finale, un altro ostacolo in questa lunga battaglia.

Photo by Falcone Geddes
Romano spiega che i cittadini di Bagnoli si sentirono inizialmente sollevati quando la fabbrica dell’Italsider chiuse negli anni ’90 – “siamo passati dal non poter aprire le finestre a poter finalmente respirare” – ma questi sentimenti si trasformarono rapidamente in disillusione. “Questa fabbrica fantasma è qui da 30 anni e nessuno riesce a capire il perché”, spiega Romano, “perché i vari tentativi si sono arenati? Perché spesso si sono conclusi con processi per corruzione? Perché i soldi che avrebbero dovuto servire alla bonifica dell’area sono scomparsi nel nulla?”
Passeggiare per il Parco dello Sport, chiuso prima ancora dell’apertura, è un’esperienza apocalittica; un luogo inquietante e imponente i cui campi dovrebbero essere pieni di atleti, ma che esiste in uno stato di degrado: campi da tennis con le recinzioni demolite e campi da gioco per bambini invasi dalla vegetazione, saccheggiati per qualsiasi materiale che possa valere un centesimo, ricoperti di spazzatura e cosparsi con graffiti. Almeno per questo però abbiamo una buona notizia: nel novembre di quest’anno è stato avviato da Invitalia, con un finanziamento dello Stato, un nuovo progetto di bonifica che mira a rigenerare il territorio e ripristinare le strutture, con l’obiettivo di aprire (finalmente) il Parco dello Sport nel 2025. Come per tutte le cose a Bagnoli, all’ombra dell’altoforno, bisogna aspettare e vedere.

The abandoned Parco dello Sport; Photo by Falcone Geddes
Il grunge e la grinta dell’area post-industriale, tuttavia, sembrano cancellati al Pontile Nord, una delle poche parti dell’area che è stata riqualificata e messa in sesto. Un tempo il molo era il luogo dove le navi scaricavano il minerale grezzo a Bagnoli e ricaricavano l’acciaio puro, mentre oggi è una passeggiata tranquilla che si estende per un chilometro sul mare. Dal fondo, con lo sguardo su tutto il quartiere di Bagnoli, sulle case bianche che punteggiano Posillipo e sul guscio abbandonato e silenzioso dell’acciaieria, si può quasi toccare la rigogliosa isola/centro di detenzione minorile di Nisida.
I contrasti sono la prova che qualcosa è andato veramente storto in questo luogo, che aveva tutte le potenzialità per diventare un paradiso. Dopotutto, secondo Dante, la selva oscura, che segnava l’ingresso all’inferno, si trovava proprio di fronte alla baia del lago d’Averno.

Photo by Dimitri D’Ippolito
Viene da chiedersi cosa sarebbe successo a Bagnoli se il dibattito sul futuro di Napoli alla fine del XIX secolo fosse andato in una direzione diversa. A seguito di una serie di epidemie di colera, la drastica riqualificazione urbana della città, che portò Bagnoli a diventare il centro industriale della città, rimase solo un’idea. Un’altra proposta, avanzata dall’architetto anglo-napoletano Lamont Young, avrebbe trasformato l’intera ala occidentale della città – partendo da Santa Lucia, passando per Posillipo e Fuorigrotta – in una serie di canali e giardini, uniti tra loro da un sistema di treni che terminavano in Bagnoli, quest’ultima ripensata come una località balneare in stile vittoriano completa di moli balneari e alberghi. Alla fine respinto, il progetto, chiamato Rione Venezia, non teneva conto delle esigenze dell’industria manifatturiera del XX secolo, anche se avrebbe dato ai napoletani un adeguato tratto di spiaggia utilizzabile, oltre a tutti i vantaggi economici che ne sarebbero derivati: un piano molto più vicino a quello che oggi molti attivisti reclamano per l’area post-industriale.

Photo by Dimitri D’Ippolito
La sede dell’attivismo di Bagnoli è Villa Medusa, un’ex residenza privata dapprima abbandonata, poi occupata e restaurata dagli organizzatori della comunità. Sul lungomare, questo luogo è biblioteca, palestra, scuola di ballo per anziani, ma soprattutto cuore di ritrovo per l’attivismo che ribolle a Bagnoli, voce che reclama che le promesse di riabilitazione, finora vuote, si trasformino in realtà.
“Essendo un quartiere operaio, era anche un quartiere di sinistra, e ha vissuto momenti di grande solidarietà operaia. Questa vibrazione è ancora presente a Bagnoli: è uno dei pochi quartieri di sinistra rimasti”, mi dice Romano.
Vaccaro viene introdotto a questo spazio, e a Bagnoli in generale, durante un tirocinio alla Città della Scienza nel 2016. A Villa Medusa conosce Romano e Salvatore Cosentino e nasce l’idea di realizzare il film su Bagnoli, che sarà prodotto dalla società di Vaccaro “Nasce Nisida Ambiente”. Romano e Cosentino sono stati nominati rispettivamente regista e co-regista di “Flegrea – Un Futuro per Bagnoli”, attualmente in tournée nel circuito dei festival cinematografici, dopodiché sarà disponibile in streaming.

Photo by Dimitri D’Ippolito
“Volevamo mostrare […] come questa presenza incombente, questo non-luogo a cui non si ha accesso, influenza le scelte di una vita”, continua Vaccaro. La scelta tra restare e andarsene è un tema centrale del film, come lo è per molti giovani provenienti da aree che sono state deturpate e abbandonate.
“Mi fa arrabbiare il fatto di dover partire e andare a cercare la felicità quando ce l’ho a un passo da casa. Però guarda che schifezze”, gli fa eco Ciro.
È stato illuminante quando Ciro e Federica sono venuti per il casting; fratello e sorella, nati e cresciuti a Bagnoli, pieni di sogni ma frenati dalla mancanza di opportunità nella loro terra. Il nonno era stato dipendente dell’Italsider prima che questa chiudesse. Si è deciso di incentrare il film sulla loro relazione e sulla crescente consapevolezza della rovina della loro città natale.

Photo by Dimitri D’Ippolito
“Il tema è scientifico, ambientale, poi diventa sociale e politico. Puntiamo a riportarlo ancora un passo avanti, al livello umano”, continua D’Ippolito, “Bagnoli è stata uccisa. Non puoi nuotare nel mare o mangiare il pesce; la costa è stata deturpata. Ma non potevamo concentrarci solo sulle parti brutte, dovevamo mostrare la bellezza del mare, anche se, beh, è fottuta”.
È in parte grazie a questa bellezza che non tutte le speranze sono andate perdute. Alla domanda se crede in un futuro per il suo quartiere, Federica risponde: “Sì, ci credo. Anzi…ne sono sicura”.
Sogna “un grande parco, un parco giochi dove portare i bambini, magari con una bella ruota panoramica e qualche casa in più”.
“Dobbiamo lavorare sul territorio per creare un luogo dove, anche se qualcuno decide di andarsene, ha la possibilità di tornare”, afferma Vaccaro. D’Ippolito aggiunge: “Abbiamo voluto raccontare questa storia per tutti coloro che nel mondo sono combattuti tra l’andare via per trovare migliori opportunità o rimanere nel luogo disagiato che amano, con questo amore che a volte si trasforma in odio. Non si tratta solo di Bagnoli; il mondo è pieno di aree post-industriali abbandonate che hanno fatto crollare le economie locali”. (Per citarne solo alcune in Italia: Alessandria, che per 80 anni ha ospitato la più grande fabbrica di cemento-amianto Eternit; la città siciliana di Gela, dove sono spariti tre milioni di euro in progetti di “bonifica”; e l’area Caffaro di Torviscosa, in Friuli, le cui falde acquifere e i cui terreni sono ancora gravemente inquinati da metalli pesanti).
Forse un’altra goccia di speranza si può trovare in un nuovo progetto di bonifica avviato nel novembre 2023 da Invitalia, con finanziamenti statali, che mira a riqualificare i terreni e a ripristinare le strutture del Parco dello Sport; l’obiettivo è che il complesso venga (finalmente) aperto nel 2025. Come per tutte le cose di Bagnoli, all’ombra dell’altoforno, non resta che aspettare.

Photo by Dimitri D’Ippolito