Situata a metà strada tra l’Africa e l’Europa, la Sicilia è l’isola degli estremi. Scosse di terremoto, vulcani incandescenti e tre mari scintillanti si contendono la supremazia sul suo terreno accidentato, a testimonianza della forza indomabile della natura e della nostra impotenza di fronte alla sua ombra. Se guardate oltre il paesaggio sconvolgente della Sicilia, se guardate più da vicino, vi imbatterete in una forma di bellezza più modesta ma altrettanto straordinaria. Il suo fascino risiede nella sua sobria semplicità e le immagini del fotografo siciliano Leandro Colantoni potrebbero aiutarvi a trovarla.
Combinando sapientemente luce, geometria e colore, le fotografie di Colantoni ci accompagnano in un viaggio luminoso in cui anche i momenti più banali ci invitano a godere della ricchezza della vita. Con una qualità raffinata e onirica che sfiora il surreale, le sue immagini emotive osservano le minuzie del quotidiano, offrendo una finestra sull’anima della cultura e del paesaggio della sua terra natale. Ma forse il vero motivo per cui il trentaduenne Colantoni si è guadagnato un seguito così significativo negli ultimi anni è la sua capacità unica di catturare una viscerale nostalgia italiana con un tocco decisamente cinematografico. Le sue immagini ci ricordano che esiste un intero mondo di gioia ordinaria da scoprire, se siamo disposti a guardare abbastanza da vicino.

Chiedo all’agrigentino come ha scoperto la fotografia e mi sorprende apprendere che ha preso in mano una macchina fotografica solo nel 2016. Prima di allora, il fotografo autodidatta lavorava principalmente nel campo della grafica, il che spiega almeno in parte il suo occhio straordinario quando si tratta di composizione.
“Non mi piacciono le categorie. La fotografia dovrebbe essere universale, dovrebbe abbracciare tutto e parlare un linguaggio comprensibile a tutti”, spiega. “Mi interessano le cose semplici, il quotidiano, e la maggior parte delle mie immagini nasce dall’istinto. Innanzitutto, voglio documentare la mia casa, la terra in cui sono nato e cresciuto”, continua. “Il mio obiettivo è ritrarre la realtà che mi circonda: la nostra gente, il nostro modo di vivere…chiamiamola pure sicilianità. Cerco di ritrarre le cose ordinarie, quelle che incontriamo ogni giorno ma che troppo spesso diamo per scontate. Mi tengo volutamente alla larga da temi più profondi e complessi. In questo modo, la mia fotografia arriva a tutti”.
La risposta di Colantoni alla mia domanda è insolitamente fresca: non capita spesso che un artista si proponga di decontestualizzare il proprio lavoro. Ma nonostante l’approccio senza pretese del fotografo alla creazione di immagini, c’è un’innegabile profondità nel suo lavoro, che rivela un’innata capacità di riconoscere momenti di fugace bellezza contemplativa. I suoi scatti nitidi sono caratterizzati da motivi ricorrenti come agrumi, ninnoli religiosi, teli da spiaggia e macchia mediterranea, ma ciò che accomuna tutti i suoi soggetti è una sobria immobilità che è allo stesso tempo profondamente malinconica e quintessenzialmente siciliana.

In una sola immagine Colantoni cattura la bellezza senza pretese di un chiosco di gelati e granite in procinto di aprire. Illuminato dal sole del mattino, le ombre di un ulivo vicino creano disegni intricati sulla sua facciata gialla. È una fotografia semplice e lineare, eppure non posso fare a meno di provare un’irrefrenabile sensazione di desiderio mentre la guardo. Per una frazione di secondo vengo trasportata nel mite Mediterraneo e i ricordi vividi di tutti i gelati delle quattro del pomeriggio della mia infanzia m’invadono improvvisamente. Mi tornano in mente tutti i momenti in cui ho aspettato con impazienza il mio turno a un chiosco di gelati come questo, con una moneta da due euro scintillante nel palmo della mano, i capelli ancora bagnati che formavano una scia d’acqua fresca lungo la schiena, il canto delle cicale così assordante da persistere nei miei sogni. Questa immagine mi permette di essere in due luoghi contemporaneamente, e non è cosa da poco. Dal tavolo della cucina della mia casa di Londra, inspiro il profumo dell’aria salata del mare, assaporo la prima beata leccata di crema di pistacchio verde e mi sento sospirare una volta passata la sensazione.
In un’altra fotografia, Colantoni ha ingrandito quella che sembra essere la superficie di un antico muro o di un pilastro, la cui consistenza ruvida è stata intaccata da secoli di sole, vento e pioggia. Tra le innumerevoli linee e scanalature che si sono accumulate sulla superficie del muro, si nota immediatamente un debole scarabocchio a pennarello indelebile, forse lasciato da un visitatore incapace di resistere a lasciare il proprio segno nella storia in qualche modo stravagante e insignificante. Nonostante la parola sia a malapena leggibile, lo scarabocchio testimonia il passare del tempo e funge da piccolo ma significativo promemoria della continuità del legame umano.

Chiedo poi a Colantoni quali siano le sue influenze e la prima persona che viene fuori è nientemeno che Luigi Ghirri, il prolifico fotografo e scrittore italiano il cui acclamato lavoro ha notoriamente confuso il confine tra finzione e realtà. “Scoprire le foto e i testi di Ghirri mi ha sicuramente indirizzato in una certa direzione: sono rimasto ipnotizzato dalla qualità onirica del suo lavoro”, racconta. “I grandi della fotografia americana a colori, come Eggleston e Shore, per citarne alcuni, hanno avuto un grande impatto sulla mia pratica. Ma qualcosa che continua ad affascinarmi e che sto cercando di capire più a fondo è il bisogno comune degli artisti siciliani – dalla musica alla letteratura – di raccontare la storia di questa terra attraverso il loro lavoro. È lo stesso bisogno che ha spinto artisti come Franco Battiato e Carmen Consoli a scrivere canzoni in dialetto siciliano, ed è quello che sto cercando di scoprire attraverso le mie fotografie”.
Sollecito il fotografo ad approfondire, e lui mi dice che a volte prova invidia per le migliaia di turisti che affollano casa sua, affascinati da una versione romantica della Sicilia che continua a essere largamente fraintesa. “Sono nato e cresciuto qui, quindi sono curioso di vedere come i turisti vedano la mia terra. Ogni giorno, mentre vado al lavoro, passo davanti alla Valle dei Templi, uno degli esempi archeologici più visitati di arte e architettura greca antica. Per me è la normalità. Forse questo significa che come siciliani siamo diventati parzialmente immuni alla bellezza. Ci siamo abituati ad essa e, a nostra volta, diamo per scontato il suo splendore”.

Se è così, chiedo, cosa significa esattamente la Sicilia per te?
“Vorrei avere una risposta diretta a questa domanda”, risponde. “Mi chiedo spesso la stessa cosa. Nonostante quello che ho appena detto, sento di aver sviluppato un amore per la Sicilia che va di pari passo con il mio lavoro. La fotografia mi ha permesso di conoscerla meglio e di apprezzare la particolarità dei siciliani come popolo. Prima di scoprire il mezzo fotografico, il mio rapporto con la Sicilia era molto più ambiguo: direi che era un po’ di amore/odio. Mi piace pensare che ora l’amore abbia preso il sopravvento”.
Non sono in disaccordo: tutte le immagini di Colantoni rivelano una tenerezza o una forma di segretezza che ci è concessa solo per un attimo.
Il giorno successivo alla nostra conversazione, Colantoni mi invia per e-mail una selezione di fotografie che ha scattato nell’ultimo anno. Mentre le sfoglio sul mio computer portatile, sono di nuovo sopraffatta dallo stesso desiderio che ho provato quando mi sono imbattuta in una delle sue immagini per la prima volta. Per quella che sembra la centesima volta in questa settimana, sento il leggero e ritmico ticchettio della pioggia londinese. Per una volta, la sua persistenza non mi spaventa. Nella mia mente, sono ancora in fila per un gelato sotto il sole cocente del pomeriggio, al suono della sinfonia ronzante delle cicale.