La prima volta che mi sono reso conto della mia identità piemontese è stato quando una tipa che avevo appena conosciuto all’università mi ha chiesto da dove venivo, perché, ha aggiunto, ero troppo gentile per essere di lì. (La correttezza politica mi impone di non rivelare dove mi trovavo al momento. Ma beh, sì, hai indovinato: vivevo a Roma allora).
Il suo commento mi ha fatto subito pensare al famoso detto “Piemontesi falsi e cortesi”. Mentre da una parte ero orgoglioso di essere riconosciuto per le mie buone maniere, dall’altra mi chiedevo se fossi anche percepito come falso?
Essendo piemontese, non potevo fare una domanda personale a qualcuno che conoscevo appena. Quindi ho dovuto aspettare un po’, durante il quale ho fatto amicizia con quella tipa, prima di chiederglielo finalmente. “Non penso che tu sia falso” mi ha rassicurato, “… ma, cavolo, sei freddo!”
Ora, la proverbiale freddezza della mia gente è stata fraintesa per troppo tempo.
Come discendenti di cortigiani della Famiglia Reale italiana, i piemontesi hanno sviluppato un gusto per imparare e rispettare regole e regolamenti. Come rispondendo a una chiamata ancestrale, seguiamo l’etichetta come se ne dipendesse la nostra vita. Nel fare le presentazioni, preferiamo strette di mano calibrate invece di doppi baci sulle guance di perfetti sconosciuti, come il resto del paese, inspiegabilmente, ama fare.
Racchiusi dalla rassicurante presenza delle Alpi, siamo perplessi da qualsiasi dimostrazione di affetto mediterranea, che giudichiamo modestamente esagerata e, francamente, non necessaria. Dopotutto, deve significare qualcosa se il monumento simbolo della nostra regione, l’Abbazia di San Michele, è un eremo inaccessibile costruito in pesanti pietre grigie.
Le interazioni sociali di qualsiasi tipo, va da sé, si traducono in tentativi snervanti e imbarazzanti. Il fatto è che non sopportiamo l’idea di disturbare qualcuno.
Da Verbania a Cuneo, il detto più comune, o meglio, lo stato d’essere, è “Non mi oso” (che, ignorando le regole per i verbi pronominali italiani, potrebbe essere tradotto in “Non oso”), per esprimere il senso di disagio che affrontiamo costantemente in situazioni potenzialmente intrusive, come chiedere indicazioni a uno sconosciuto.
Poiché la vita del nostro compagno piemontese è regolata da rituali e abitudini precise, dedicate esclusivamente al lavoro – seguendo sacche di resistenza calviniste impossibili da convertire a una più cattolica pigrizia – sappiamo che semplicemente non c’è spazio per l’imprevisto. Qualsiasi cosa “a sorpresa” (feste, visite a casa, regali) è praticamente scoraggiata e disapprovata.
I bambini piemontesi vengono ancora cresciuti seguendo ordine, pulizia e disciplina, gli stessi principi che venivano impiegati nell’addestramento dell’esercito sabaudo per combattere l’Impero austro-ungarico.
La combinazione di serietà, franchezza, puntualità e correttezza che ci viene inculcata prima che siamo in grado di digerire tartufi e carne cruda (di cui siamo ghiotti) ha giocato un ruolo cruciale nell’unificazione del paese.
Dopo la caduta dello Stato Pontificio nel 1870, l’Italia fu finalmente riunita sotto la Casa Savoia. Il governo appena stabilito iniziò un processo di piemontizzazione dell’intero Regno d’Italia, che mirava a garantire un’amministrazione stabile e un’amalgamazione culturale.
Oltre ad alcuni risultati positivi, come Quintino Sella, il più celebre ministro delle finanze piemontese che fu in grado di raggiungere un bilancio in pareggio per la prima volta nella storia del paese; il resto dell’impresa deve essere stata la cronaca di un disastro annunciato. Si può solo immaginare la scena: eleganti schiere di dignitari, funzionari burocratici e militari che scendono su Roma, la nuova capitale, nel tentativo di estendere il loro stile di vita alla popolazione locale.
Non riesco proprio a capire come il sottotono piemontese, che condividiamo solo con i britannici – deve essere il tempo piovoso – potesse essere imposto all’anarchia vivace dei nostri compatrioti. In effetti, moderazione e sobrietà non sono esattamente percepite come qualità italiane. Allora come ora.
Il filosofo Norberto Bobbio avrebbe giustamente affermato che il motto da scrivere sulla bandiera del Piemonte dovrebbe essere: “Non esageriamo!”
È in questo terreno di mezzo che troviamo il nostro vero io.
“Siamo goffi di fronte alla felicità e dignitosi nell’avversità” ha scritto Alessandro Baricco.
Ci piace il comfort, ma non troppo; apprezziamo il divertimento, certo, ma ci ricordiamo costantemente che domani dovremo andare a lavorare. E lo facciamo con un sottile piacere.
Quindi, ha senso se spesso veniamo fraintesi.
Con questa consapevolezza, ci accontentiamo di vivere lontani dai riflettori, facendo i fatti nostri, consci della nostra singolarità e del nostro soft power. Dopotutto, siamo riusciti a far impazzire Nietzsche in meno di 4 mesi!