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Alessandro Dandini de Sylva

“Creo dialoghi tra paesaggi reali e astratti per confondere il soggetto, sia in ciò che è rappresentato che nello spettatore.”

Un vassoio per la colazione con frittelle, salsa e una tazza su un letto disordinato in una stanza d'albergo a luce soffusa; lampada sul comodino, loghi a destra. Hotel d'Inghilterra Roma, Starhotels Collezione - Vassoio per la colazione con pancake, sciroppo e frutti di bosco su un letto stropicciato in una camera elegante.

Il sole radiante cala nel cielo, mentre incontra le dolci ondulazioni delle colline erbose e viola. Dai colori vivaci delle polaroid emergono linee dell’orizzonte, alberi e animali, ma non sono ciò che sembrano. Questo è il “linguaggio” paesaggistico di Alessandro Dandini de Sylva. Le sue rappresentazioni astratte del paesaggio mi hanno affascinato attraverso la loro investigazione della fotografia, della realtà e della rappresentazione, e soprattutto per il modo in cui la scultura e il mondo esterno imprimono nuovi significati al suo lavoro nello spettatore.

Io e Alessandro ci siamo incrociati anni fa mentre approfondivo la mia conoscenza della fotografia paesaggistica. Siamo diventati amici discutendo di piccole ma significative esperienze in Italia, dal mangiare formaggio con i vermi in Sardegna, alla ricerca di funghi a Cortina (lui è un esperto!), o la bellezza di Ponza. Un artista italiano, Alessandro ha lavorato in tutto il mondo, da New York a Shanghai, e ha esposto in gallerie di tutto il mondo da Londra a Parigi. È un narratore nato e assolutamente enciclopedico su tutto ciò che riguarda l’Italia, e mentre il paesaggio italiano è stato storicamente importante per l’artista, lo sono stati anche i vulcani hawaiani e le grotte di Lascaux, e molti altri spazi paesaggistici.

L’approccio di Alessandro al paesaggio ha preso varie forme nel corso degli anni. La sua pratica artistica ha spesso considerato ciò che la fotografia si rifiuta di mostrare, o ciò che lo spettatore non è in grado di costruire, che lui ha chiamato il “vuoto.” Alessandro usa pellicole polaroid scadute con una macchina polaroid degli anni ’70 da 10 anni che permette la manipolazione dell’immagine usando colori, bruciature e tempo. Il suo lavoro rompe i confini della rappresentazione paesaggistica, diventando praticamente astrazione, e l’archiviazione errata del suo libro fotografico nella sezione pittura della biblioteca della Tate è una testimonianza del suo successo. Trovando questo esilarante, preferisce lasciare che continuino a credere che sia pittura.

Come ti descriveresti in poche frasi?

Lavoro con la fotografia, e più in generale con le immagini, incluse le mie e quelle degli altri. E faccio lo stesso con i libri: pubblico i miei ed edito quelli di artisti, condividendo avventure lungo il percorso. Collaboro con musei, fondazioni e gallerie, e insieme a un gruppo di ricercatori esperti e appassionati ho creato una biblioteca itinerante di libri fotografici per bambini.

Qual è il tuo museo o istituzione d’arte preferita in Italia? Hai un’opera d’arte preferita lì/ricordi una mostra particolare?

Qualsiasi intervento di Carlo Scarpa, dalla Gipsoteca Canoviana a Possagno alla Tomba Brion a San Vito, dal Museo di Castelvecchio a Verona a Palazzo Abatellis a Palermo. Sono sempre più interessato alle installazioni permanenti; sono affascinato dall’idea che, nel tempo, un’installazione pensata per essere perenne possa generare un pellegrinaggio simile a quelli praticati per raggiungere luoghi sacri.

A quale evento artistico italiano guardi con più attesa ogni anno?

Me ne vengono in mente tre: la Biennale di Venezia (anche se preferisco visitarla al di fuori dei giorni di apertura per evitare la frenesia di eventi e incontri), Artissima a Torino (che invece mi attira per una serie di intrattenimenti paralleli come Club to Club e Flat) e Hypermaremma (per cui curerò un nuovo ciclo di campagne e pubblicazioni fotografiche).

Ci sono artisti o teorici del paesaggio italiano che ti ispirano?

Lavorando con la fotografia subisco il fascino e l’eredità artistica di maestri come Luigi Ghirri e Guido Guidi. Ma forse trovo più ispirazione in artisti visivi contemporanei con cui ho condiviso parte del mio percorso;

Quelli che mi vengono in mente sono Fabio Barile e Domingo Milella, Stefano Graziani, e anche Jose Angelino e Serj, e molti altri.

Come si inserisce il paesaggio nella tua pratica artistica o curatoriale? Il paesaggio italiano si ritrova nel tuo lavoro anche quando è realizzato in studio? Come?

Credo che per molti autori della mia generazione, la rappresentazione del paesaggio sia passata dall’essere l’oggetto della ricerca al linguaggio della ricerca. Nel mio lavoro, creo dialoghi tra paesaggi reali e astratti per confondere il soggetto, sia in ciò che è rappresentato che nello spettatore. L’idea è creare immagini sospese e volutamente irrisolte per instillare nello spettatore un dubbio sulla visione, così come un dubbio sul suo equivalente meccanico, la fotografia.

La tua meta preferita per un weekend italiano?

Ponza e le altre Isole Pontine, un arcipelago di origine vulcanica al largo della costa del Circeo. Facilmente raggiungibili da Roma con un’ora di treno e un’ora di nave, l’isola di Ponza richiama alcuni dei miei ricordi più preziosi. Da bambino, in barca a vela con i miei genitori e mio fratello, poi in barca con gli amici, e ora con mia moglie e mio figlio, solo che ora lui vuole guidare la barca.

Qual è il tuo ristorante preferito e che piatto ordini?

La Sibilla a Tivoli. Serve ospiti dal 1720 in un giardino ai piedi degli antichi templi di Vesta e Sibilla, proprio di fronte alla cascata del fiume Aniene. Seduti sotto glicini centenari, puoi goderti la stessa vista dei viaggiatori del Grand Tour. E da lì, Villa Adriana è a due passi (e obbligatoria!)