“Uno dei momenti in cui Fellini si toglieva la maschera ed era semplicemente Federico era il Natale. Ogni anno passavamo la vigilia di Natale insieme a casa mia. […] Giulietta cucinava, aiutata da mia moglie, ma devo dire che in cucina non era proprio il massimo; invece Federico apparecchiava. Maestro di regia qual era, sceglieva la disposizione dei posti a sedere e imbandiva la tavola a suo piacimento. Io lo lasciavo fare senza intervenire”. Così scrive Claudio Ciocca, oste e proprietario del ristorante “Osteria del Fico Vecchio” e confidente del grande regista. Vicini come fratelli, i due erano noti per l’ilarità che si scatenava quando erano insieme.
Fellini andava a trovare l’amico a Grottaferrata praticamente ogni giorno, quando si trovava a Cinecittà per girare un film o quando voleva mangiare le sue amate uova alla coque. Fellini era un buongustaio, amava il cibo, ma soprattutto la convivialità che nasceva a tavola.
Chiunque abbia avuto il privilegio di condividere un pasto con lui può certamente confermare la sua unica e bizzarra abitudine di disegnare qualsiasi cosa gli venisse in mente su tovaglie e tovagliette. Prendeva un tovagliolo e annotava gli schizzi delle persone che lo circondavano, creando caricature complete di fumetti. I suoi disegni trasmettono una libertà di espressione pura e infantile, quasi come se fossero nati dalle mani di un adolescente. Erano divertenti, semplici e autentici. Non è un caso che il primo lavoro di Fellini sia stato quello di caricaturista.
Disegnare sulle tovaglie era il suo modo di trovare ispirazione e ha portato alla nascita di molte scene dei suoi film. Claudio Ciocca si arrabbiava spesso con lui (anche se mai seriamente), perché la biancheria costava 2.000 lire, una cifra molto alta per l’epoca. A un certo punto, il ristoratore iniziò a portare pile di fogli bianchi ogni volta che il regista si sedeva a tavola, in modo che potesse disegnare su quelli.
Una delle tante peculiarità culinarie del regista era quella di chiedere un pezzo di Parmigiano non appena si sedeva al ristorante. Suo padre, Urbano, era un rappresentante di liquori e prodotti alimentari, e Federico diceva di essere nato con il profumo del Parmigiano sotto il naso e di non poterne fare a meno. Amava frequentare le enoteche del suo quartiere, intavolando lunghe conversazioni sul vino, sulla cucina e sugli arrosti, una pietanza che gli piaceva molto. Anna Dente, dell’Osteria San Cesario, ha raccontato di essere rimasta colpita dalla semplicità di Fellini e dalla sua imparziale devozione alla cucina romana.

Photos courtesy of Osteria del Fico Vecchio
All’età di 19 anni, Fellini cercò di trovare la sua strada offrendo disegni e caricature nei ristoranti. Faceva lavori saltuari e non sempre aveva i soldi per comprare da mangiare. Un giorno, entrò nel Ristorante Cesarina (in Via Piemonte a Roma) e mangiò di tutto e di più, ma quando arrivò il conto, confessò di non poter pagare e fu cacciato dal locale. Qualche tempo dopo, la proprietaria lo trovò nel quartiere, infreddolito e molto magro, e lo invitò a tornare. Per un’intera stagione, lo sfamò con pasti completi, senza mai chiedere nulla. Forse è proprio grazie a questo gesto che Federico Fellini divenne un assiduo frequentatore di ristoranti: forse li vedeva come luoghi sicuri in cui rifugiarsi.
Alla fine Fellini trovò la sua strada e divenne il grande regista che tutti conosciamo. Quando fu il momento di organizzare la conferenza stampa per l’uscita de “La Dolce Vita” (1960), chiese che si tenesse all’interno del Ristorante Cesarina. Del tutto sconosciuto ai più, il locale era un luogo a lui caro. Inutile dire che dopo quell’evento il ristorante ebbe un successo mondiale.
Frequentava molti ristoranti, luoghi di relax e di creatività, e in alcuni di essi si recava così spesso da rendere quasi normale la sua presenza; aveva persino le chiavi della casa della famiglia Ciocca, e di tanto in tanto si presentava senza preavviso. Ogni mattina chiamava Claudio al telefono di casa. I due uomini si raccontavano ciò che avevano sognato la notte precedente. Questi erano i tipi di legami che Fellini instaurava con i proprietari di ristoranti e i padroni di casa. Per lui non erano solo luoghi di ristoro, ma piuttosto mondi in cui poteva essere se stesso e coltivare le sue relazioni più strette.


Quando voleva gustare carne di qualità, Federico andava dal Toscano al Girarrosto, in via Germanico. Qui disegnò un identikit di Paola, la proprietaria del ristorante, che soprannominò “Beata Paola delle polpette”, poiché preparava le sue polpette con una particolare forma piatta, proprio come piaceva a lui (anche nel menu portano il suo nome). Fellini era molto esigente con il cibo, e spesso dava direttive su come preparare un piatto. Amava raccontare e suggerire le ricette della nonna o quelle che lo facevano sentire a casa, ricercando i sapori e i ricordi della sua infanzia.
Amava anche inscenare situazioni divertenti intorno alla tavola, all’insaputa degli altri. A volte, quando andava a fare colazione al Fico Vecchio con giornalisti o amici, non ordinava, ma riusciva a far scegliere ai suoi ospiti esattamente quello che voleva. Descriveva con maestria un piatto diverso a ciascuno, spiegandone il gusto così bene da far venire l’acquolina in bocca ai suoi compagni, inducendoli a ordinare quei piatti. Faceva credere di non aver ordinato nulla, ma alla fine assaggiava i piatti di tutti.
Federico Fellini era un grande amante della vita, appassionato delle cose terrene e della leggerezza della risata. Gli piaceva certamente mangiare bene, ma c’era inequivocabilmente qualcosa di più forte che gli faceva amare lo stare a tavola. Si trattava di persone, relazioni ed emozioni. Si trattava di vita vera.
Quando entrava nei suoi ristoranti preferiti, era come se si spogliasse della sua notorietà e tornasse a essere una persona normale, semplicemente un uomo. Non doveva pensare a ciò che gli altri si aspettavano da lui; poteva abbandonarsi alla serenità di un momento tra amici. Tutto era spensierato e, per un po’, la vita sul set, le interviste e i riflettori non lo preoccupavano.
Era in quei momenti di convivialità che Fellini riusciva a vedere oltre, a sentire che c’era qualcosa di più.
“Penso che l’unico vero realista sia il visionario”, diceva spesso. E quando disegnava sulle tovaglie ciò che la sua mente immaginava, non faceva altro che mostrare agli altri una grande verità: la bellezza autentica di quel momento.