Gio Tirotto
“Mi piace pensare che un designer sia come un ponte che collega l’idea al messaggio finale,” scrive Gio Tirotto. E nel suo mondo, quel messaggio potrebbe prendere la forma del tavolo da ping-pong più elegante che tu abbia mai visto, un sistema di sedute modulare che si adatta a qualsiasi spazio, o una poltrona accogliente e sinuosa chiamata Peggy.
Questa è la cosa di Tirotto: è concettuale, sì, ma si sta anche divertendo.
Per esempio, il suo GAE Table, progettato per LAVA, prende spunto dal ritmo di uno scambio di ping-pong. Progettato per trasformarsi da superficie di gioco a tavolo da pranzo a scrivania, è “un bellissimo scambio”, dice (ed è un pezzo da sogno per la Senior Editor di Italy Segreta, Anna Hirschorn, ossessionata dal ping-pong). A completarlo c’è lo Sgabello Ettore, un piccolo omaggio energico a Sottsass, che ricorda un bicchiere Solo capovolto – e altrettanto leggero e impilabile.
La pratica di Tirotto spazia tra interni, installazioni, design del prodotto e direzione artistica. Ha collaborato con marchi come IKEA, Seletti, Alcantara e Manerba, per cui ha progettato il vincitore dell’Archiproducts Design Award Super Random. Il sistema di sedute presenta panche modulari e sgabelli impilabili che possono essere riconfigurati in gruppi radiali o disposizioni lineari, rendendolo ideale per spazi di lavoro dinamici, musei o anche aree di attesa pubbliche.






Valerio Sommella
Nato nella città toscana di Cortona e cresciuto a Milano, Valerio Sommella si è formato sia in Italia che nei Paesi Bassi, trascorrendo del tempo ad Amsterdam prima di fondare il suo studio nel 2009. Da allora, ha costruito un portfolio minimalista nello stile, massimale nella gamma—da eleganti posate a illuminazioni che sembrano sculture fino a un vibratore sorprendentemente chic.
È probabilmente più noto per il suo affilato e contorto Sfrido pelapatate per Alessi—uno strumento a spirale cromato che sembra appartenere a una galleria. O la sua bottiglia lucida a forma di otto per la 818 Tequila di Kendall Jenner. Il suo lampada Sorrento per Nava ricorda un tridente, proiettando luce attraverso tre punte, mentre il vibratore Matrioska per Rianne S è discreto, raffinato e sta sul comodino, non nel cassetto.
Descrive le sue creazioni come “racconti brevi, ognuno con la propria trama, personaggi e conclusione, tutti uniti da una narrazione coerente”. Quella narrazione è elegante, controllata e profondamente intenzionale. Ogni curva, ogni superficie, ogni interfaccia è radicata in quello che lui chiama “ricerca formale, materiale e tecnologica”.
Il suo lavoro ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti di design, tra cui il Good Design Award e l’iF Design Award.





Ilaria Bianchi
Con un piede nel design di prodotto (ILABIANCHI) e l’altro nell’artigianato sperimentale (Temperanza), Ilaria Bianchi si muove tra le discipline, ma torna sempre alla stessa convinzione fondamentale: che gli oggetti contano, emotivamente ed eticamente.
“L’etica dello studio ha le sue radici in una convinzione fondamentale: la sacralità dei materiali, il potenziale illimitato dell’artigianato italiano e la coltivazione di connessioni emotive con i nostri oggetti”, ci racconta. Il suo approccio è intenzionale, con un ciclo di produzione lento che spesso fa uso di materie prime riciclate e riutilizzate; la produzione avviene esclusivamente su richiesta.
È una vera donna rinascimentale – passa con facilità dalla scenografia, agli interni, ai mobili, che spesso hanno tocchi Art Deco. Ma uno dei suoi progetti più eccitanti è Temperanza, attraverso il quale Bianchi lavora con ceramica, pittura e tessitura – tecniche storicamente emarginate come “artigianato” e associate al lavoro domestico, spesso invisibile, delle donne. La “contaminazione” tra queste pratiche artigianali e “il loro legame con il femminismo e la magia” è centrale nel suo lavoro. Nella sua collezione 2024 Madre Fuoco Sorella Fuoco, per esempio, Bianchi ha rivisitato la tavola domestica come spazio di rituale e potere femminile. “La tavola è stata per secoli l’unico luogo dove alle donne era permesso di esprimere la loro creatività e cura”, ha scritto. I pezzi in ceramica – vassoi, brocche, portacandele meravigliosamente fluidi e colorati – sono modellati a mano e scolpiti in gres bianco e rifiniti con un’applicazione sperimentale di ingobbio a pipetta.
“Le cose non sono mai state solo cose”, ci ricorda. “La maggior parte delle volte, incarnano valori simbolici e metaforici.”






Giuseppe Arezzi
Dal suo studio a Ragusa, uno dei gioielli del Val di Noto, Giuseppe Arezzi lavora sulla “reinterpretazione contemporanea di archetipi funzionali non più in uso e sulla preservazione delle tradizioni artigianali”, ci spiega. Pensalo come una specie di antropologo del design – che scava nelle tradizioni nostalgiche e scopre nuovi modi per farle parlare.
Prendi Atrio, uno specchio da parete che prende il nome dallo spazio di accoglienza delle antiche domus romane. Invece di incorniciare il riflesso, lo specchio è la cornice – un perimetro quadrato lucido che circonda un vuoto centrale che rivela la parete dietro. Poi c’è il suo Barlume paralume. Sospeso dall’acciaio e costruito da trapezi di metacrilato trasparente e colorato, proietta ombre rivelatrici su soffitti e pareti. “Barlume è ispirato alle lanterne che decoravano gli ingressi dei palazzi nobiliari siciliani e fornivano luce di notte”, scrive Arezzi. Come gran parte del suo lavoro, è sia radicato nella tradizione che gioiosamente fuori dagli schemi.
Arezzi è cresciuto sospeso tra due estetiche: “Da un lato, grazie alla mia famiglia, sono circondato da spazi contemporanei e oggetti di design”, condivide. “Dall’altro, da mondi rurali, paesaggi di campagna e semplicità primordiale”. Quel tira e molla – tra lucido e radicato – è ciò che dà al suo lavoro la sua frizione e la sua profondità.

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Federica Elmo
“Non c’è gerarchia tra una casa e un cucchiaio”. Questa è la lente attraverso cui Federica Elmo vede il mondo. “Entrambi sono opportunità di design”. Nata a Roma, ora vive e lavora tra Milano e Siracusa – una mossa fatta, dice, “per amore”. Amore per il suo partner, ma anche per il mare, il vulcano e la fisicità grezza della Sicilia stessa. Puoi sentire quelle influenze elementali nel suo lavoro, nel luccichio del cromo come il sole sull’acqua o nelle curve vulcaniche delle sue silhouette ondulate e coniche.
In progetti come ONDAMARMOHa lavorato con degli specialisti del settore per sviluppare la stampa 3D a getto d’inchiostro con vernice liquida. Il risultato sono tavoli che ricordano anemoni, come se fossero cresciuti da un fondale marino di marmo, e vassoi di onice che, con vortici di rossi, verdi e rosa traslucidi, sembrano modellati dalle maree.
La sua attenzione ai materiali, però, non riguarda solo l’aspetto estetico o l’innovazione; è guidata anche da principi morali. ‘Il mio interesse per i materiali di seconda mano e gli oggetti trovati non è estetico’, nota. ‘Si tratta più di un modo etico di recuperare risorse trascurate e dare nuova vita a scarti, ritagli o materiali di seconda scelta.’






Andrea de Chirico
Andrea de Chiricodimostra che il design a basso impatto non deve per forza essere serio o beige. Il romano unisce l’artigianato tradizionale a forme vivaci ed espressive, usando materiali come carta riciclata e scagliola (una tecnica storica di stucco che imita la pietra) per creare oggetti che sono sia giocosi che rispettosi dei principi – il tipo di roba che ti fa sorridere.
Ha fondato il suo studio, SUPERLOCAL, nel 2015. Da allora, ha collaborato con clienti come IKEA Italia, The Design Museum e BMW, sviluppando progetti che esplorano come l’artigianato e la sostenibilità possano lavorare in tandem – spesso su scala iper-locale.
Prendi il Hair Dryer Set, un quartetto concettuale di elettrodomestici realizzati in tre quartieri europei. Ognuno è stato costruito usando solo materiali e tecniche di produzione trovati a un giro di bicicletta dal suo luogo d’origine. ‘Come cambia un oggetto a seconda di dove viene prodotto?’ si chiede.
O guarda lo Specchio Guarino– fatto di legno riciclato laccato e incorniciato in rosa, blu e rosso audaci. È in stile Memphis, vivace e grafico, un ‘monstrum unico nel suo genere’ come lo chiama De Chirico.
‘Miro a progettare oggetti che non siano solo visivamente accattivanti ma anche responsabili dal punto di vista ambientale’, dice. ‘Ogni pezzo è realizzato con l’intento di suscitare meraviglia e portare un’energia unica e colorata in qualsiasi spazio.’
Dal 2016, de Chirico insegna all’IED Torino, alla NABA Milano e alle Beaux-Arts di Marsiglia.







Imma Matera
Nata a Matera – ‘ancora nel mio cognome!’ ci dice – Imma Matera esplora le ‘qualità poetiche e spontanee dei materiali grezzi, radicate in un profondo rispetto per la loro essenza naturale.’ Lavora principalmente con metallo, ceramica, legno, pietra e quello che lei chiama ‘l’essenza grezza della terra stessa.’ La sua estetica è terrosa ed elementare: linee pulite, toni radicati, finiture metalliche brunite – forme che sembrano simultaneamente antiche, contemporanee e architettoniche.
Nel 2020, ha co-fondato TIPSTUDIO con il suo partner Tommaso. Con base tra Firenze e Pietrasanta, il duo esplora lo spazio dove il concetto incontra il materiale – dove il design emerge non da uno schizzo, ma da una sorta di conversazione. ‘Mi sento profondamente connessa alle dimensioni narrative e concettuali di ogni progetto – sono la base della mia pratica’, dice. ‘La forma per me è semplicemente il risultato di una storia, di un processo.’
Quel processo è tanto fisico quanto filosofico. ‘Progettare un prodotto significa leggere, osservare, ricercare, vivere e testare – e anche produrre’, spiega. ‘Do grande importanza al messaggio che emerge sottilmente dalle linee di un oggetto – dalla sua presenza fisica alla sua risonanza emotiva.’
Il lavoro di Matera con TIPSTUDIO è stato esposto a livello internazionale – al Salone del Mobile, PAD London, il Museum of Craft and Design di San Francisco e Collectible Brussels. Insegna anche design all’IED di Firenze, portando il suo approccio incentrato sul processo in aula.





