Raccontaci brevemente la tua storia e del tuo lavoro attuale:
Faccio pop colorato con un filo di malinconia attorcigliato sul groove. Scrivo canzoni da quando ho 13 anni, ho iniziato perché mi annoiava studiare a scuola di musica, ho continuato perché ero praticamente sempre annoiata, sempre ad ascoltare musica, sospirante ed innamorata di qualcuno. Da qualche anno scrivo dischi e canto sui palchi in Italia e all’estero.
Quali sono le tue influenze musicali?
Amo da sempre Mina, Raffaella Carrà e Ornella Vanoni. Ascolto di tutto, più spesso indie, r’n’b e hip hop.
Perché hai scelto di vivere/rimanere in Italia?
Spesso mi faccio questa domanda e la risposta non lo so. Non capisco perché anche davanti ai problemi più evidenti e insopportabili non penso mai seriamente ad andarmene davvero. Come tanti, forse rimango perché questo posto ha la maledizione di piacermi nonostante tutto. Ci sarebbero mille motivazioni, probabilmente la più amara e sincera è che in fondo preferisco vivacchiare, sperare, non cambiare amici e mangiare bene.
Quali sono le tue previsioni per il futuro dell’industria della musica?
Non ne ho idea. Tante cose cambiano abbastanza velocemente e a volte mi sembra di capire o addirittura di prevedere, altre di non capirci niente. La musica alla fine è uno spazio aperto, penso ci sia posto per tutti, l’industria ultimamente tende ad essere ripetitiva mentre è necessario che resti più curiosa, contaminata e interconnessa, è così che nascono le novità.
Quali sono i maggiori ostacoli che affronti e le più grandi soddisfazioni che provi lavorando in questo paese?
È sempre difficile trovare luoghi veramente adatti per fare concerti perché di luoghi pensati per questo in Italia ce ne sono pochissimi. Di conseguenza il nostro settore non è preso molto seriamente in primis dallo Stato: non si investe quasi per niente in musica e cultura.
Lavorare in Italia per me vuol dire andare in tour e poter vedere posti incredibili nei luoghi più inaspettati, conoscere realtà e persone che si impegnano per creare qualcosa di buono nel loro territorio, spesso in zone dimenticate da tutti. Questo mi fa sempre confidare in qualcosa che ancora non riesco a vedere chiaramente ma che mi sembra qualcosa di migliore, o forse l’unico bagliore di speranza.