Raccontaci brevemente la tua storia e del tuo lavoro attuale:
Sono un’attrice, ho studiato a Milano e a Roma (accademia nazionale), mi muovo per l’Italia tra set e teatro, a volte vorrei stare più ferma ma mi piace vedere posti in Italia, a volte sconosciuti, che non avrei mai visto se non ci fossi finita per lavoro.
Perché hai scelto di vivere/rimanere in Italia?
Ho pensato in passato ad andare a studiare all’estero, per cominciare la mia carriera altrove, ma sono innamorata dell’Italia, del suo essere così piena e ricca di cultura. Sono innamorata della sua caratteristica unica e straordinaria di contenere, in uno spazio così geograficamente ristretto, una quantità pressoché infinita di tradizioni, dialetti, usanze, cibi e ricette, musica. L’Italia è un paese difficile in cui lavorare nella cultura, ma allo stesso tempo è una fonte continua d’ispirazione. Non riesco a starne lontana.
Quali sono le tue previsioni per il futuro dell’industria del cinema?
L’industria dell’audiovisivo tutta si trova in un momento di grande difficoltà, e lo dimostrano le proteste che da mesi si verificano, la grande disoccupazione delle maestranze, e un blocco produttivo non indifferente. Non è una crisi improvvisa, ma una conseguenza di grandi mancanze da parte dello Stato, che ha emesso decreti e fondi a sostegno del settore negli anni scorsi, senza tenere monitorati i progressi e le falle, facendo scelte per niente specifiche e competenti. Ultimamente sta ritardando l’emissione dei fondi del tax credit, anche se ci si augura che entro l’estate questi soldi vengano sbloccati e le produzioni possano partire. Sono fermamente convinta che se le scelte che si fanno economicamente fossero accompagnate da una competenza artistica, se il calcolo di mercato fosse seguito da un ragionamento umano sull’arte del racconto e su ciò che ci sia bisogno di raccontare (vedi il fenomeno straordinario di “C’è ancora domani”: a suo tempo snobbato dai fondi ministeriali e diventato poi opera di grande impatto sociale e culturale) si aiuterebbe davvero il cinema, e di pubblico ce ne sarebbe molto di più nelle sale.
Quali sono i maggiori ostacoli che affronti e le più grandi soddisfazioni che provi lavorando in questo paese?
I maggiori ostacoli che incontro lavorando in questo paese sono, come detto sopra, innanzitutto strutturali: stare dentro ad un sistema già povero e pieno di incertezze aumenta la probabilità di fallire e diminuisce le possibilità concrete di impiego. La struttura “scomoda” del cinema, di sua natura già un ambiente competitivo, viene potenziata dal mancato sostegno dello Stato, perciò lo stress è doppio e spesso tra colleghe e colleghi non ci si aiuta.
Le più grandi soddisfazioni le ho quando trovo, invece, una comunità che vuole sostenersi, quando c’è gioco di squadra in un set perché si vuole tutti fare qualcosa di bello insieme, quando incontro persone che sanno quello che stanno facendo e hanno una visione artistica. L’arte senza collaborazione con l’Altro (il tuo collega attore, la tua datrice di lavoro, l’autrice che ha scritto il film, il runner che ti porta sul set, il pubblico che ti guarda) è insostenibile, è infattibile, semplicemente non può esistere. Dall’incontro con l’alterità nasce la creatività.