“Più la guardo meno capisco chi sia,” la giornalista italiana Orianna Fallaci scrisse di Mina nel 1961. Secondo Fallaci, Mina era il “mito degli italiani giovani e vecchi, poveri e ricchi, fessi e furbi, comunisti e cattolici.” Questa affermazione suggerisce la capacità camaleontica della star – a volte inquietante – di trasformarsi dalla “ragazza della porta accanto” alla glamour diva italiana alla seduttrice diabolica del sabato sera.
Sempre meticolosamente orchestrati, gli outfit della cantante erano la base di ogni sua metamorfosi, anche se, curiosamente, spesso può essere un po’ un mistero chi li abbia disegnati e creati per lei. In un contesto di moda (anche se la parola “moda” viene usata con riluttanza per descrivere il rapporto della star con i suoi outfit), “Mina” significava espressione artistica, “Mina” significava empowerment, e “Mina” significava evasione totale. Ci incantava con ogni outfit che indossava, e quindi, con ogni “personaggio” che evocava mentre lo indossava. Come rifletteva la Fallaci, è difficile comprendere le moltitudini di Mina espresse attraverso gli outfit della star nel corso dei decenni. Dagli abiti scultorei d’avanguardia alle sue famose pellicce, ecco 10 dei momenti di moda più leggendari della star.

La ragazza della porta accanto: Festival di Sanremo (1961)
È Sanremo, 1961. Una Mina ventunenne sale sul palco del Teatro Ariston con un affascinante vestitino bianco in organza con colletto, vita stretta e gonna a “corolla” cosparsa di pois blu. Che figura! Il direttore di linea e curatore di moda freelance Stefano Salvitici, che conosce la provenienza di molti pois o paillettes indossati da Mina durante la sua carriera, conferma che questo abito fu creato per la cantante dalla fidata sarta Rosetta Gussoni Reclari, come tutti gli outfit che Mina indossò in quell’occasione. Questo vestito catturava l’essenza del sogno italiano della “Dolce Vita” che aveva iniziato a infatuare il mondo all’inizio degli anni ’60 – l’epitome di uno stile femminile “sartoriale chic” che associamo all’Italia di quel periodo. Giocoso e tipicamente Mina, i pois del capo si riferiscono anche alla canzone che eseguì a Sanremo, “Le mille bolle blu”. L’abito, quindi, era parte della sua performance, enfatizzando lo spirito allegro e la musicalità della canzone. Molti dei costumi di scena di Mina durante la sua carriera avrebbero giocato un ruolo simile nell’enfatizzare l’umore e i temi delle canzoni che eseguiva.
“A momenti il suo bel viso è innocente e mi sembra di volerle bene come a una sorellina che deve difendersi perché non sa dire bugie…,” scrisse la Fallaci su Mina nello stesso articolo pubblicato su The European. Questo outfit è la “sorellina.” Ricorda il personaggio di una donna che teneva un orsacchiotto di nylon blu accanto a sé per addormentarsi ogni notte, come suggeriscono gli aneddoti sulla star:
“Di notte, Mina non dorme se non ha il suo orsacchiotto tra le lenzuola, e per quanto possa sembrare assurdo in una ventenne a cui sono stati attribuiti trentatré fidanzati e che canta canzoni d’amore come se sapesse di cosa parla, la notizia è accurata: perfino il cameriere che le porta il caffè al mattino lo conferma,” scrisse la Fallaci.

Gennaio 1961 Festival di Sanremo Mina canta "Le bolle blu" 714391/51 ©Publifoto/Olycom
La seduttrice che indossa sculture: “Taratatà” (Barilla, 1966)
All’altro estremo, abbiamo la Mina seduttrice enigmatica vestita di nero. La cantante ha acceso le fantasie degli italiani in tutto il paese quando è apparsa in una serie di spot per il marchio di pasta italiano Barilla a metà degli anni ’60. Diretti dal maestro creativo e collaboratore di Fellini, Piero Gherardi, questi spot (che andavano in onda nel popolare programma pubblicitario televisivo Carosello) alimentavano il “Fenomeno Mina” attraverso un mix ipnotico delle sue hit, set inaspettati e una collezione di outfit disegnati da Gherardi che si sono impressi nei libri di storia della moda italiana.
Il genio di Gherardi nel vestire la star in questi video è iniziato con un semplice tubino nero, su cui ha stratificato caratteristiche di tessuto che sfidano la gravità per dare a ogni look un carattere formidabile. Nel video di “Taratatà”, Mina appare in un abito a colonna lungo fino al pavimento con maniche e dettagli del collo in organza cablata che sporgono bruscamente dal suo decolleté. Il suo copricapo in stile cuffia conferisce all’outfit un’aria di modesta pietà e sontuosa grandiosità. Mina somiglia a una rosa proibita. Le parole di Fallaci risuonano di nuovo: “…a certi momenti il suo bel viso è diabolico e mi sento come se fossi menato per il naso dalla donna più astuta che abbia mai incontrato.”

Mina for Barilla; Photo by
Un’artista in movimento: “Se telefonando” (Barilla, 1966)
I look creati da Gherardi per Mina erano tanto dichiarazioni sociali quanto prodezze di arte indossabile. Spingendo silhouette e proporzioni a estremi avanguardistici, i suoi design rifiutavano il glamour femminile della Dolce Vita che molti si aspettavano dalla star nel suo ruolo di ambasciatrice del marchio Barilla. Anzi, sono audaci dichiarazioni di emancipazione e libertà d’espressione – ispirando l’idea che Mina (e quindi le donne) potesse conquistare il mondo senza indossare diamanti o haute couture.
Nel clip Barilla per “Se telefonando”, la cantante passeggia sul tetto della Stazione Centrale di Napoli come una moderna Medusa, indossando un lungo abito nero e grovigli di fili tubolari (forse cavi telefonici!) che le avvolgono il corpo dalla testa ai piedi. Mina, essendo Mina, indossa questo outfit quasi impossibile come se fosse una seconda pelle. È l’enigma che vogliamo capire, con cui vogliamo familiarizzare, ma che non riusciamo a decifrare completamente.

"Se Telefonando" for Barilla
Silhouette simboliche: “Non illuderti” (Barilla, 1966)
Gherardi ha progettato anche gli outfit della campagna Barilla di Mina non solo come costumi, ma come parte delle narrative delle sue performance. Ogni silhouette diafana rifletteva l’umore e i temi delle hit che eseguiva in questi video, dando vita alla sua musica in una nuova dimensione artistica. Con giganti dettagli sulle spalle come due appendici rettiliane, l’outfit di Mina per “Non illuderti” le permetteva di giocare timidamente con la telecamera, rivelando e nascondendo il viso dietro queste “ombre” scultoree. Mina è come un uccello esotico sceso in un ambiente industriale surreale, eppure si muove nello spazio come se fosse il suo salotto.
“Non illuderti / Non devi illuderti / Non so fingere / Non voglio fingere / Non sprecare le tue lacrime,” canta Mina. L’ironia è, ovviamente, che l’abito della cantante è esso stesso un veicolo di inganno. Si può solo speculare su quali segreti profondi e oscuri si nascondano dietro quelle maniche.

Il glamour eterno di Mina: Studio Uno 66 (1966)
Signore e signori, La Mina! Una visione in un abito bianco con paillettes e collo halter che abbracciava la sua figura a clessidra, Mina abbagliava mentre eseguiva canzoni dal suo album Studio Uno 66 con un’orchestra dal vivo. Questo abito, disegnato dallo stilista italiano Fausto Sarli, è uno dei look più senza tempo e quintessenziali che associamo a una prima diva italiana degli anni ’60, e poche altre potevano indossarlo come Mina. Nonostante le sue paillettes abbaglianti e il dettaglio gioiello sul seno, l’abito non mette in ombra la naturale radiosità di Mina, né appare eccessivamente esagerato. Era un abito adatto a una star che era “la prima vera showgirl del dopoguerra,” secondo il giornalista Giorgio Bocca.
“Gli italiani che amano lo spettacolo la guardano, vorrei dire, con un’attenzione messianica. Eccola, si dicono, è lei quella che aspettavamo, la prima vera soubrette del dopoguerra: elegante con provocazione e gusto per il barocco, spiritosa sul filo del sesso, disinvolta in un mondo di falsa disinvoltura, dotata di una voce attraente, capace di riempire il palcoscenico,” rifletteva Bocca.

La dea d’oro: Il “vestito magico” di Alberto Caroli (1971)
Con il suo spirito artistico incredibilmente sperimentale che si estendeva alle sue scelte di moda, vestire Mina era il sogno di ogni designer. Sebbene spesso scambiato per una creazione dello stilista Paco Rabanne, questo “Vestito Magico” fatto di quadrati di alluminio dorato battuti a mano, spiega Salvitici, fu creato per la cantante dal designer milanese Alberto Caroli. All’inizio degli anni ’70, Caroli fu pioniere e brevettò questo tipo di abito “facilmente modificabile”, che ispirava le donne a creare il proprio stile adattandolo secondo la loro immaginazione. Mentre per questo servizio fotografico con Roberto Bertolini era uno stile maxi con alti spacchi laterali, Mina indossò anche una versione mini dell’abito sul palco per una delle sue esibizioni dal vivo. Parte guerriera disco, parte dea metallica, i capi erano un successo strabiliante di texture, arte e innovazione; un’altra apparizione di Mina che fece notizia nella moda e rese molto orgoglioso Caroli, il creatore.
Un’altra riflessione di Giorgio Bocca ci viene in mente quando pensiamo a come Mina incantava in questa stravaganza artigianale: “Alcuni già la classificano preziosamente, attribuendole una bellezza intoccabile, da medaglia, una femminilità da guerriera, da Amazzone, da Bradamante.”

Mina “fuori servizio”: Stile di strada negli anni ’60 e ’70
Cosa faceva Mina tra le esibizioni per pubblici isterici in tutta Italia, le riprese di video musicali e spot TV, e la registrazione di album su album in studio? Faceva la madre, la donna, l’italiana. Il suo stile fuori servizio era autenticamente suo; prediligeva di tutto, dai classici abiti a trapezio degli anni ’60 all’abbigliamento casual come jeans blu, camicie bianche e occhiali da sole oversize. Nonostante il suo status di mega-star, il senso dello stile di Mina non era stravagante o eccessivo, ma piuttosto intuitivo e autentico. Quando veniva vista in giro, i suoi vestiti rivelavano l’essenza di quella che capiamo essere la “vera Mina”; una donna che non era affatto una femmina convenzionale del suo tempo, e manteneva sempre un’aria di mistero. Questo non faceva che alimentare l’ossessione dei media e del pubblico per lei.
“Mina, come la conoscono, come milioni di giovani l’hanno costruita, è in sostanza una sana mangiatrice di tortellini che finge, a volte, di essere un po’ beatnik, un po’ gioventù da scherzo. Le basta infilarsi un paio di blue-jeans e scompigliarsi i capelli. Non le si chiede altro tormento interiore. Poi può girare in spider bianca, guadagnare milioni e vestirsi dalle migliori sarte,” scriveva Bocca.

Mina off duty
Avvolta nelle pellicce: Una questione di calore negli anni ’60 e ’70
La star adorava le sue pellicce. Quando i giornalisti, i fotografi e i commentatori sociali degli anni ’60 e ’70 ritraevano Mina, le sue pellicce erano spesso in primo piano. Che fosse un visone lungo o un denso cincillà, una mantella bordata di pelliccia o un chic cappello a tamburello, la pelliccia era un aspetto distintivo dello stile di Mina. Nel 1969, la cantante fu fotografata per Vogue Italia da Gian Paolo Barbieri, vestita con una serie di decadenti completi couture come una star all’apice della sua gloria. Catturata nello stile film noir in bianco e nero caratteristico di Barbieri, Mina è adornata con una drammatica mantella di pelliccia che scende fino ai piedi. È l’epitome del glamour cinematografico italiano. Ma, come ha fatto notare Fallaci, le pellicce che Mina indossava giorno per giorno – che fosse mentre fumava una sigaretta per strada, aspettava nel backstage dopo un’esibizione, o andava a cena – non erano dichiarazioni deliberate di fama o ricchezza. Piuttosto, erano una questione di praticità, come lo erano per molte donne italiane dell’epoca:
“Indossa la pelliccia non come chi la indossa per mostrare che la possiede ma perché la pelliccia serve come riparo dal freddo, e la settimana scorsa, mi dicono, voleva comprare del chinchilla, ma è bastato che suo padre le dicesse due paroline all’orecchio perché lei rispondesse, ‘Va bene,’ e non ne facesse nulla,” scrisse Fallaci.

MINA FINE ANNI '50 PROVINCIA DI MILANO PH. PHOTOMASI
La Tigre di Cremona: Mantello di seta Versace (1996)
Che dramma! Il fotografo e artista Mauro Balletti ha catturato le molte sembianze di Mina nel corso dei decenni in cui hanno lavorato insieme, e continua a farlo. Attraverso l’obiettivo di Balletti, Mina si è trasformata da dolce ragazza di Sanremo a fatale femme fatale piumata fino all’eroina avanguardista in quello che sembrava un batter d’occhio. Alla fine degli anni ’90, Balletti ha fotografato Mina a Cremona per la copertina del suo album che porta il nome di questa città del nord Italia dove è cresciuta. In posa nella piazza principale della città, Piazza del Comune, indossando un sontuoso abito e mantello operistico rosso disegnato esclusivamente da Gianni Versace, Mina è l’incarnazione statuaria del suo titolo non ufficiale “La Tigre di Cremona”. Questo outfit, che secondo Stefano Salvatici ha richiesto a Versace circa tre mesi per crearlo, celebra come i mondi del teatro, della storia e dell’arte si siano combinati per evocare un sempre presente senso di dramma sia nella sua musica che nella sua persona pubblica.
Outfit come questi ci ricordano anche che Mina ha mantenuto il suo status di prima donna italiana nell’industria della musica e dello spettacolo nel corso dei decenni, oltre ad essere una musa duratura per stilisti e designer di alta moda come Versace. Che fosse dal vivo sul palco, in TV o dietro la macchina da presa, la sua presenza sarebbe diventata solo più imponente e affascinante con la sua maturazione come donna e artista.

L’enigma del genere: Sulla tua bocca lo dirò (2009)
Mina provocava le convenzioni dell’abbigliamento basato sul genere con totale noncuranza. Abbracciava l’idea di sfumare i confini tra maschile e femminile e, così facendo, sfidava gli stereotipi convenzionali nella società italiana e globale. Già negli anni ’60 appariva con tagli sartoriali maschili e silhouette forti, e ha continuato a esplorare l’abbigliamento maschile come fonte di evasione creativa nei decenni successivi.
Una delle tante immagini iconiche in stile editoriale catturate da Mauro Balletti, l’immagine interna dell’album Sulla tua bocca lo dirò (2009) raffigura Mina in una giacca nera sartoriale lunga, camicia col colletto aperto (curiosamente sbottonata) e stivali da equitazione neri alti. Con uno sguardo vuoto e una postura fredda e distaccata, c’è tanta psicologia dietro questo outfit quanta arte c’è dietro l’immagine stessa. Mina assomiglia a una figura in un elegante ritratto di Lolita Lempicka degli anni ’20 – imponente, moderna e senza tempo allo stesso sguardo. Come aveva fatto diverse volte prima, la cantante ha scosso la società italiana con questa stimolante visione di “power dressing” che ha capovolto le norme sociali, culturali e artistiche.

Piume, pellicce o abiti… c’è un po’ di Mina in ognuno di noi. Gli outfit più leggendari della star erano una botta emozionante di evasione, rivelando un disprezzo sfacciato per le idee convenzionali sulla moda e lo stile. Ognuno una performance in sé, erano portali verso le molte Mine che ci avrebbero emozionato, sedotto e fatto battere il cuore prima ancora che emettesse una singola nota.